Leggi anche...
Video
Leggi anche...
Video
Jacques Lacan
Perfettamente (in)comprensibile
di Maurizio Falcioni
Quello che troverete in questo articolo è frutto di una mancata comprensione. Così è nato il mio incontro con lo psicoanalista francese Jacques Lacan. Meglio ancora potrei descrivere il mio incontro con la psicoanalisi lacaniana, visto che sono entrato in terapia all'età di ventitré anni e vi sono restato per circa dieci anni. Il modo migliore per raggiungere il punto di svolta nella comprensione del discorso lacaniano è attraverso l'incontro con uno psicoanalista, direi davvero non causale visto che la sera prima del mio appuntamento ero in coda al cinema per acquistare un biglietto del film “L'uomo del treno”. Nulla di strano se non fosse che alle mie spalle c'era quello che poi sarebbe diventato il mio futuro analista.
Prepariamoci dunque ad un'immersione che è necessario affrontare con l'ammissione totale della non comprensione, l'unico modo per farci da parte e favorire l'inconscio. Più avanti apparirà chiaro il motivo che definisce l'incontro con lo psicoanalista francese: frutto di una mancata comprensione.
L' “uomo abita il linguaggio”, ci ricorda Jacques Lacan citando le parole di Martin Heidegger. "Non solo l'uomo nasce nel linguaggio, ma nasce tramite il linguaggio".
Il linguaggio è un oceano nel quale ci ritroviamo alla nascita, il soggetto invece è l'essenza di questo linguaggio, lo abita, cerca di dominarlo e lo pensa anche se poi è pensato. Con il termine linguaggio si definisce il concetto di inconscio.
Sembra proprio che Lacan sia venuto a complicarci la vita. Ci parla di soggetto intendendo con esso il linguaggio e non sembra interessato a cercare l'origine di quest'ultimo visto che esso c'era prima ancora dei Neanderthal. Più semplicemente noi lo abitiamo, questo non vuol dire che siamo capaci di dominarlo o comprenderlo. Attraverso di esso, però, giungiamo ad una parola, il punto di intersezione dove numerose linee si incontrano. Questo punto di congiunzione, secondo Lacan è il nucleo dove il discorso fa buco. Dice: “Quando una stessa parola si incontra in tre incroci di idee che vengono al soggetto, vi accorgerete che l'importante è quella parola lì e nient'altro”.
Ogni soggetto manifesta un proprio buco nel discorso; ci vuole una certa capacità nel riuscire ad individuarlo. Quest'ultimo infatti è il dialogo più autentico che un individuo possa fare con se stesso. E' qui che lo psicoanalista viene in aiuto.
Riuscire ad intraprendere il discorso significa, in un certo senso, aver intercettato il buco dello stesso, essere a bordo del treno dei significanti. Fare ciò comporta una grande capacità di concentrazione. Viene da sé che ogni distrazione ci allontana dal linguaggio o più esattamente non ci permette di cavalcarlo.
Studiando Lacan è facile domandarsi se lo psicoanalista sia realmente in grado di intercettare il buco nel discorso del paziente. Ho capita che per essere in grado di farlo non è necessario avere solo una laurea in psicologia, serve un grande allenamento, perché il linguaggio abita entrambi, sia lo psicoanalista che il paziente, dando vita a quello che Freud definì transfert.
Entrambi i soggetti in quanto espressione del linguaggio cercano la stessa cosa. Lo psicoanalista attraverso l'ascolto cerca il punto d'intersezione all'interno del paziente il quale a sua volta lo cerca attraverso lo psicoanalista. Ma anche quest'ultimo, che è nel discorso, orbita intorno al proprio buco e oltre. Il soggetto supposto sapere così come Lacan definisce l'analista deve mantenersi nella condizione di chi non sa, anche se è a rappresentanza del grande Altro, (la coscienza), l'analista è chiamato all'ordine del non sapere.
Aver raggiunto il potere singolare di maneggiare il linguaggio, dice Lacan, non facilita alcun traguardo. Dice: “Tutti hanno a propria disposizione esattamente le stesse scelte, che sono suscettibili di tradursi negli stessi successi e nelle stesse aberrazioni”.
Il linguaggio è frainteso, dice: “Hanno trovato un marchingegno formidabile, […] hanno dato da fare un lavoro molto carino, un vocabolario della psicoanalisi”
Se l'analista fraintende il linguaggio è probabile che fraintenda anche il sapere, si faccia cioè portatore di una conoscenza che non può avere. Egli si deve radicare nel non sapere che è la via di accesso al linguaggio.
Insomma siamo di fronte una psicologia complessa e allo stesso tempo semplice, che viene tradotta con parole difficili e spesso incomprensibili. Questa è un po' la caratteristica che contraddistingue Jacques Lacan e che è stata e ancora è una delle questioni fondamentali della psicologia moderna. Un'incomprensibile attrazione che avvicina sempre più persone a qualcosa di altrettanto incomprensibile. Grazie alla magnifica traduzione di alcuni studiosi e in questo caso ex pazienti di Lacan, come il prof. Antonio di Ciaccia, abbiamo la conferma che l'incomprensibilità del discorso di Lacan è sostanzialmente voluta. Tale discorso, ci ricorda Di Ciaccia: “E' isomorfo all'inconscio”.
Avvicinarsi all'insegnamento di Lacan ha qualcosa di magico, convogliare il proprio tempo nel tentativo di tradurre questi concetti è di per sé un processo terapeutico, e lo è ancor di più per chi lo affronta dopo molti anni di psicoanalisi.
L'insieme di tutti questi concetti e delle loro derivazioni sembra un grande brodo primordiale all'origine del pensiero. E che cos'è il pensiero secondo Lacan? Egli dice che la risposta non si trova al livello in cui si ritiene che la sua essenza consista nell'essere trasparente a se stesso e nel sapersi pensiero. L'origine del pensiero deve appoggiarsi al suo materiare primigenio che è il linguaggio, ciò che definiamo mistero.
Dopo questo preambolo raggiungo il punto di ciò che è stato per me compreso. Il punto dove si incontrano numerose linee. Il buco del discorso, la parola ricorrente che funge da chiave. E' questo che io definisco frutto di una mancata comprensione, perché il discorso lo abitiamo, è sinonimo di linguaggio. Il frutto di ciò che non è compreso è il cambiamento, così mi spiego Lacan. E devo tornare su ciò che non comprendo per produrre frutti, non posso soffermarmi su ciò che si allinea al mio pensiero, devo rivolgermi a qualcosa di incomprensibile. Lo faccio a mia insaputa, spinto dal bisogno di riuscire a venirne fuori, rivolgendomi dunque all'analista, a quello che Lacan chiama, il grande Altro.
Non è possibile vedere oltre ciò che vediamo, ma è proprio lì che si trova la nostra immagine. Non possiamo farlo da soli, questo è assolutamente certo.
Mentre ci muoviamo nell'intricato labirinto dell'esistenza stiamo manifestando chiaramente il nostro “buco”. Il linguaggio si spiega attraverso di noi ma noi siamo dispersi in esso fino al momento in cui cominciamo un discorso. Quest'ultimo è il momento dove i punti si uniscono, si potrebbe vedere in esso qualcosa di riconoscibile, ma è pur sempre solo un discorso, un tentativo di chiusura del cerchio.
Mi spingo così fino al tema della castrazione. Cos'è? Cosa ci vuole dire Lacan quando ci parla di castrazione? Le linee si intersecano, il discorso si coagula e se da una parte si trova il godimento, dall'altra non c'è dubbio che vi è la castrazione.
Quando raggiungiamo la domanda, qualcosa è dunque pronto a rispondere. Se la domanda riguarda la spinta acefala al piacere del piacere la risposta sarà inevitabilmente una risposta di castrazione. Per essere chiari: se il problema è la spinta ceca al godimento in qualunque forma esso appaia, la soluzione al problema è accorgersi che la natura del godimento è di per sé una natura effimera, una soluzione posta all'interno del proprio buco. Si tratta dunque del vuoto che alimenta se stesso.
E' una faccenda complessa; non se ne esce vivi e per giunta potremmo dire che sta proprio nella morte il punto di congiunzione con questo grande Altro con il quale ci interfacciamo durante l'analisi. L'evidenza del proprio godimento diviene una certezza nel momento in cui riconosciamo di aver rigettato il complesso di castrazione a causa di una legge mancata, quella del padre. E' dunque nell'Edipo che si vede la costellazione nella sua interezza. Dobbiamo escludere la possibilità di riconoscere il proprio godimento se prima non abbiamo conosciuto e metabolizzato il complesso Edipico. L'oggetto mancante in questa faccenda è dunque il padre e quello troppo marcato è al suo opposto la madre. Ecco nascere la scintilla che da vita all'incendio delle pulsioni, la spinta a godere fino alla disperazione, fino alla morte.
Si giunge dunque alla comprensione di Lacan solo attraverso l’elaborazione del proprio vissuto. L’immersione nel discorso lacaniano è il tentativo di conoscersi a fondo. Il grande Altro, se così vogliamo vederlo, è l’effetto magico e manifesto di una grande conclusione. Questo sta a significare che la stessa psicoanalisi vista attraverso gli occhi del paziente, che a sua volta, diventando analista di se stesso, immergendosi dunque nel proprio discorso, riesce a divenire chi realmente è. Egli si allinea a quella dimensione ideale, congelata a causa della stessa ferita narcisistica, di quell'Edipo irrisolto che all'origine scolpì il grande "NO" al cospetto della legge. Questo "NO" che si sostituisce a ciò che è Grande, si fa porta di accesso al godimento, una spinta acefala a ricercare ciò che si contrappone alla legge e nello stesso tempo una disperata richiesta di aiuto e un’estenuante ricerca del padre.
Sembra proprio esserci una dimensione dell’Edipo che a partire dalle scoperte freudiane fino alle ultime definizioni lacaniane, abbia sviluppato un pane radicale sempre più fertile che si incastra perfettamente nella forma del tempo che stiamo vivendo: il tempo in cui l’oggetto acquista potere assoluto sulla persona, al punto da sostituirla, possedendola attraverso la pulsione.
Il primo slogan commerciale di Jeffrey Preston Bezos il fondatore di Amazon, recitava le parole: “L’estasi del cliente”. Questa estasi è la conclusione ideale a un desiderio esaudito nel minor tempo possibile e in una comodità e immobilità assoluta.
Forse ancora non riusciamo a vedere chiaramente il collegamento tra l’evaporazione del padre, così come ci ricorda lo psicoanalista italiano Massimo Recalcati, e l’insorgere di una figura ben più radicale e spietata che a sostituzione del padre diviene padrone, attraverso l’effetto di una propaganda capitalistica.
Seguire dunque l’incomprensibile discorso di Lacan, proprio perché isomorfo all'inconscio, ci spinge verso la definitiva accettazione del complesso di castrazione, processo inevitabile se vogliamo tornare alla dimensione del padre naturale e alla semplicità di una vita vissuta nel presente e nel sacrificio.