di Maurizio Falcioni
Coloro che si avvicinano alla meditazione spesso sono ignari del fatto che in essa si spiega un intero processo ontogenetico che fonda le sue radici in quelle immagini archetipiche che sono la base della simbologia. Questi due potenti archetipi sono rispettivamente il buio e la luce. Non possiamo dunque escluderci dall'osservare che l'impatto originario con questi archetipi lo abbiamo vissuto, in uno stato di percezione analogica, tutti noi compreso il Buddha che a sua volta aveva assorbito l'intero processo esperienziale della nascita. E' proprio durante la fase di gestazione che il feto, specie durante i primi tre mesi di sviluppo, si trova in contatto con questi profondi impatti analogici che si manifestano attraverso un alternarsi di luce o tenebra a seconda del tipo di esperienza vissuta. E' solo in una seconda fase che il feto nella sua percezione simbiotica comincia a frammentare questi archetipi liberando da essi immagini simboliche famtasmagoriche che diventeranno in seguito la mappa dei nostri cumuli traumatici dominanti.
La meditazione si fonda proprio sulla necessità di accedere a questo profondo contenitore che è il nostro vissuto biografico rimosso e renderlo fruibile ad un livello cosciente dove non solo ci troviamo a rivivere profonde sfide emozionali ma è proprio durante questi processi di intensificazione che la sfera onirica diviene predominante.
Chi medita sviluppa in misura sempre maggiore lo strumento del sogno e con esso comincia una fase di digestione di quelli che sono i contenuti traumatici rimossi. Questi contenuti prendono forma attraverso l'aspetto simbolico mediante il quale il vissuto traumatico originario si mimetizza. Diventiamo quindi un tutt'uno in continua trasformazione, come una lunga sfilata di maschere che sono i numerosi aspetti della coscienza, digeriti dall'inconscio per via della loro natura dirompente e distruttiva; oppure assorbiti e congelati in memoria del loro valore gratificante. Sta di fatto che è attraverso la meditazione che possiamo nuovamente entrare in contattao con essi e cominciare quello che viene definito processo d'individuazione.
Come appunto veniva osservato all'inizio di questo scritto, le persone si avvicinano alla meditazione ignare di tutto ciò e credono che attraverso di essa sia possibile raggiungere quella tanto agognata sensazione di benessere. Nulla di più discordante con la realtà dei fatti, perché, si, la pratica è finalizzata al raggiungimento di certi traguardi, come la quiete mentale o addirittura l'illuminazione, ma prima di raggiungere questi importanti traguardi, dobbiamo nuovamente prendere contatto con tutto l'insieme di condizionamenti che hanno generato l'intera gamma delle immagini che superficialmente ci possiedono.
E' quindi evidente che la meditazione non può scindersi dal linguaggio tipico dell'inconscio per il fatto largamente osservato che l'inconscio comunica attraverso un linguaggio simbolico. Questa è per un meditatore cosa poco importante rispetto a quello che potrebbe essere per uno psicologo, ma il fatto sostanziale sta proprio nel poter combinare entrambe le cose. La meditazione che trova la sua autentica radice in oriente, si plasma nel tessuto occidentale attraverso una capillare diffusione, rendendo quelle che fino a pochi decenni fa erano popolazioni fondate sul culto cristiano, delle mutazioni, se pur solo apparenti, di un'apertura verso simboli che non ci appartengono filogeneticamente.
Se pur ci condizioniamo a credere che ci sia un Buddha in ognuno di noi in realtà il nostro inconscio collettivo di occidentali rimanda simboli discordanti e quello che durante i ritiri è l'immagine onnipresente del Buddha in realtà l'inconscio, stimolato dalla stessa meditazione buddhista, rimanda il volto del Cristo.
Questo approfondimento, se pur in sintesi, ci serve per comprendere ancora meglio il senso della pratica insegnata dal Buddha, in quanto non si dovrebbe meditare per recidere le radici della propria provenienza ma affondare ancora di più in esse per sanarle ed infine accedere a quello che potremmo vedere come un distacco definitivo dagli attaccamenti.
In sostanza, attraverso la meditazione possiamo accedere al mondo degli antenati e dei morti, così come veniva descritto da Jung e che Freud definì inconscio. Successivamente affinando lo strumento del sogno, per mezzo del rimando simbolico o ancor di più accedendo alla memoria originaria racchiusavi all'interno, elaborare quelli che nella tradizione buddhista vengono definiti shankara, forti condizionamenti.
In tutto ciò ci troviamo profondamente in contatto con una forza primigenia quindi archetipica frammentata in un vasto simbolismo che però racchiude al suo interno fatti concreti, emozionalmente significativi che abbiamo rimosso e che attraverso la pratica possiamo nuovamente rivivere.