Friedrich Nietzsche
Autodistruzione di un genio
Stiamo raggiungendo l’apice significativo o forse il punto di non ritorno. Rileggere Nietzsche è utile per comprendere il passaggio fondamentale che stiamo affrontando.
In questo breve scritto ho cercato di far emergere quel salto evoluzionistico che il filosofo descriveva attraverso l’immagine di un tramonto o di un ponte oltre l’uomo, oggi così attuale, ma che a quel tempo era possibile affrontare solo nella solitudine dell’anima.
Ci troviamo finalmente ai margini di un confine dal quale Zarathustra volle metterci in guardia. E’ proprio questo il tempo che il filosofo previde sopraggiungere nel “così parlo Zarathustra”.
di Maurizio Falcioni
L’opera di Friedrich Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”, è un testo pericoloso. Almeno possiamo dire che l’autore è morto pazzo; questo ci legittima a studiarlo durante l’anno accademico; nessuno vorrebbe fare la fine che fece il povero Nietzsche. Dobbiamo però riconoscere in quel fallimento un’indicazione.
Comprendere il pensiero di Nietzsche significa “sentire” Nietzsche. Questo non è solamente rischioso ma è anche improbabile se pensiamo che la maggior parte di coloro che lo insegnano nelle scuole non sono in grado di sentirlo. Ciò è evidente se osserviamo la condizione in cui verte la società contemporanea; è chiaro che quello di Nietzsche non è un pensiero assoluto, ma di certo in esso troviamo le basi per un processo di miglioramento.
“Vedo molti soldati, vorrei vedere molti guerrieri!”
Anche se ne veniamo attratti, dobbiamo riconoscere se siamo in grado di assorbire tale abisso. Un maestro sopraggiunge quando siamo pronti. Chi può aiutarci è di sicuro un vero amico. Questa figura emerge nelle pagine del libro, dove Zarathustra stravolge il concetto di amicizia. Dice: “sei in grado di accostarti al tuo amico senza passare dalla sua parte?”.
Chi è L’ “amico” di cui egli ci parla? Ebbene esso è colui che vede in te il superuomo. Vede oltre l’uomo, in un futuro lontano, ed è a questo orizzonte che l’“amico” guarda. Scrive: “Fratelli miei, non vi consiglio l’amore per il prossimo: vi consiglio l’amore per chi è più lontano”.
Per essere un vero amico basta volere dall'altro un orizzonte. Portarlo verso il suo tramonto che è anche il nostro. Questo tramonto è inevitabile e l’amico vuole vederti tramontare come uomo. Nietzsche infatti scrive: “La vita stessa vuole costruirsi in altezza con colonne e gradini; vuol guardare su vaste lontananze e oltre, su felici bellezze: per questo ha bisogno di altezza”.
La vita domina l’uomo e lo fa venir fuori nella sua immagine più grandiosa, attraverso il proprio soffio. Lo attrae a sé oltrepassando la carne, in quella che vediamo essere una trans-figurazione.
Se provi a vedere nel tramonto un orizzonte oltre l’uomo e se vedi nell'amico, per quanto sembri nemico, la forza attualizzante che ti muove verso quel tramonto, riesci così a riconoscere chi è l’amico che stai cercando.
Tra le mani, il libro ci parla e vuole spingerci verso il superamento dell’uomo. Oltre questo confine vediamo il ponte che Nietzsche immagina portare oltre.
Se vogliamo capire il superuomo dobbiamo capire l’uomo e dobbiamo scegliere cosa essere. Infatti chi non comprende il superuomo non ha modo di scegliere. Dobbiamo necessariamente rifiutare ciò che ci è stato detto. Dobbiamo accogliere la possibilità di oltrepassare quel ponte.
Oltrepassare l’uomo è destino. Il seme da cui egli è nato contiene il superamento della sua stessa immagine. L’uomo deve gioire di fronte tale verità; egli attende l’arrivo del messia invano, dovrebbe invece prepararsi a superare se stesso.
In contrapposizione al concetto di superamento e alle verità che indubbiamente vengono decantate da Zarathustra, troviamo la tragica fine di Nietzsche, consumato fino alla morte dalla malattia e dalla pazzia. Questo fallimento ci insegna molto. Sentire la vibrazione profonda sopraggiunge dagli abissi dell’esistenza è solamente l’inizio di un lungo percorso, straordinario e pericoloso. Percorso nel quale dobbiamo incamminarci con consapevolezza. A questo proposito ci vengono in aiuto alcune pagine del libro, dove Zarathustra si racconta nel “Canto dei sepolcri”.
Egli ci parla di una misteriosa isola, appunto dei sepolcri, che accoglie i suoi diletti morti. Figure che hanno accompagnato la giovinezza del filosofo.
Queste figure sono: apparizioni, visioni, sguardi d’amore, instanti divini. Si tratta di una traduzione immaginifica di quel tipo di esperienza che Abraham Maslow chiama, esperienze di picco o peak experiences.
Questa isola che Nietzsche vede nella sua mente, è un luogo della memoria dove sono depositate immagini e sensazioni di esperienze trascendentali; delicate e soavi come lanugine, descritte in modo sublime. Le vede sfuggirgli nella notte come qualcosa che si disperde – un balenio di occhi divini – fuoriusciti, in un istante, da un vaso di argilla rotta nella notte fredda e mai più tornate.
Come ci ricorda Carl Jung, il povero Nietzsche non accoglie la possibilità di aprirsi al numero 1. Jung ci spiega questo gioco, definendo le personalità 1 e 2. Osservando bene ci accorgiamo che il n°1 e il n°2 di cui egli ci parla, rappresentano l’esatto comportamento degli emisferi cerebrali. Seguendo l’analisi di Jung su Nietzsche e la rispettiva diagnosi psichiatrica, possiamo vedere che il filosofo fu posseduto da forze inconsce molto potenti che lui stesso riuscì a richiamare attraverso frequenze basse tipiche dell’emisfero destro, il n.2.
Queste forze diedero vita a tutta una serie di esperienze di picco, come effetto iniziale di qualcosa che si apre. Un vaso di Pandora o come nella filosofia indiana, il terzo occhio. Il povero Nietzsche è il rappresentante di un dramma esistenziale che continua a ripetersi. Il grande conflitto tra il mondo interiore e quello della realtà artificiale creata dall'uomo. Il mondo dell'ECS (emisfero cerebrale sinistro) come amava definirlo il ricercatore spagnolo Joaquín Grau.
E’ proprio da questo profondo attrito che si manifestò il sintomo che portò Nietzsche ad essere l’esatto opposto di ciò che egli senti inizialmente invadere la sua anima.
L’isola dei sepolcri è il luogo della memoria di questa apertura spirituale che venne in seguito assassinata dal volgo ottuso degli uomini.
“Avete assassinato le visioni e le più amate meraviglie della mia giovinezza”
E’ qui che accade l’inversione sintomatica che fa diventare il filosofo uno Zarathustra. E’ appunto nella morte simbolica di Dio coincidente ad una morte interiore che accade una sovrapposizione, divenendo egli stesso questa forza superiore, dalla quale fuoriescono le verità espresse da Zarathustra.
La spinta inesauribile e la coazione a ripetere derivarono da quella che lui stesso chiamò, volontà di potenza. Nietzsche non raggiunse mai la meta del superuomo, non oltrepassò il conflitto, restò invece rappresentante dell’uomo combattuto, addolorato e incapace di stare al mondo. In lui si notano profonde contraddizioni che sbattono letteralmente contro il suo pensiero dominante.
“Si, in me c’è qualcosa di invulnerabile e di non sotterrabile, qualcosa che fa saltare le rocce. Si chiama la mia volontà”
La volontà come piedistallo sul quale erge la figura grandiosa del filosofo è anche causa di continue ricadute. Questa discontinuità tra ciò che si vuole essere e ciò che realmente si è, mostra chiaramente una scissione.
Se però vogliamo vedere nel pensiero di Nietzsche qualcosa di straordinario e guida per gli esseri umani, dobbiamo accettare proprio questa ambivalenza tra l’uomo e la divinità, tra la forza e la vulnerabilità. Forse, è proprio la condizione umana, così impermanente, sorretta nel vuoto di un mistero, a rappresentare l’humus dove il superuomo si forma. La terra santa dove siamo immersi è il terreno fertile che determinerà il nostro superamento come uomini. Tale è lo sforzo che alcuni stanno facendo attraverso la pratica. Solo la Terra è a favore del nostro superamento; questa non può inseminare il nostro cuore se prima noi non ci apriamo ad essa.
E’ questo, a mio avviso, il grande dono che Nietzsche attraverso il proprio fallimento vuole elargire a tutti noi. Il fallimento come rappresentazione di una volontà di potenza che frantuma con forza primordiale la struttura mente-corpo, a dimostrazione che è possibile oltrepassare l’uomo in vita e allo stesso tempo distruggerlo.
La forza dirompente dello spirito possiamo richiamarla attraverso un processo mirato, lungo ed impegnativo. Ci è concesso sperimentare, possiamo scoprire parti a noi ancora sconosciute.